mercoledì 29 giugno 2011

La Cosa

“Nonno, nonno, ci racconti una favola per farci addormentare ?” chiesero i nipotini.
“Certamente bambini, però questa sera voglio raccontarvi una storia vera che non conoscete e che si tramanda da diverse generazioni, forse un giorno anche voi la racconterete ai vostri figli”.

Il nonno iniziò il suo racconto.
Tutto ebbe inizio a Whitehaven, un piccolo villaggio che si affacciava sul mare d’Irlanda, il 30 Aprile 2319; era una giornata primaverile, ma fredda e nebbiosa. Sembrava un giorno come tutti gli altri. Gli adulti erano andati al lavoro, i ragazzini erano a scuola, e, malgrado non fosse bel tempo, i bimbi allegri giocavano nel parco accompagnati dalle loro tate e dai nonni; alcune massaie erano indaffarate nello loro faccende domestiche, altre erano andate al mercato, mentre i vecchietti giocavano a bingo al centro anziani. Nell’aria si poteva sentire il profumo dei dolci e del pane appena sfornati; nella piazza principale, tra le bancarelle, si udiva la pescivendola che urlava per attirare le persone e i pettegolezzi delle vecchiette; al contrario sulla spiaggia si sentiva solo il rumore delle onde che si frantumavano  sugli scogli. Nessuno avrebbe potuto immaginare ciò che stava per succedere …
Nel parco una bambinaia cominciò ad accorgersi che stava accadendo qualcosa di terribile alle piante: una sostanza viscida, nera, melmosa, stava risalendo dal terreno, si infiltrava nelle radici, risaliva lungo il fusto e, passando attraverso i rami, arrivava fino alle foglie. Dopo un po’ tutti gli alberi del parco erano diventati neri e, più tardi, iniziarono a liquefarsi dentro quella “Cosa”. La stessa sorte toccò ai fiori e all’erba. I bambini urlarono e tutti si rifugiarono nelle loro case.
Nel frattempo la “Cosa” stava emergendo anche dal fondale marino soffocando tutti i pesci che, trascinati dalle onde, venivano sbattuti sulla spiaggia: in pochi minuti la riva divenne un cimitero di creature informi.
Gli abitanti di Whitehaven accesero radio e televisioni: tutti i canali annunciavano che eventi catastrofici simili stavano avvenendo sull’intero pianeta.
La “Cosa” si stava espandendo sulla Terra; in un solo giorno aveva sterminato la fauna e la flora marina, e soltanto le piante nelle zone collinari e montuose erano ancora in vita. Ben presto l’ossigeno iniziò a diminuire, invece la temperatura del pianeta prese a salire perché la “Cosa”, essendo nera, assorbiva i raggi del Sole e l’anidride carbonica intrappolava il calore.
Nel giro di poche settimane la temperatura era salita di oltre 10 gradi; per questa ragione anche i ghiacciai cominciarono a sciogliersi  provocando l’innalzamento del livello degli oceani.
La spiaggia di Whitehaven, come tutte le altre, si ristringeva ogni giorno di più, fino a quando non scomparve del tutto; ma l’oceano continuava ad innalzarsi e in pochi mesi anche il villaggio e tutte le città costiere del pianeta furono sommerse. La Terra era sconvolta da continue tempeste e i fulmini, sempre più violenti e numerosi, provocavano incendi spaventosi che devastavano gli edifici: crebbe a dismisura il numero delle vittime animali e umane folgorate o intrappolate tra le fiamme.
Solo in cielo gli uccelli continuavano a volare, o almeno così credevano le persone, ma quando quelle macchie scure cominciarono a discendere sulla Terra gli umani si resero conto, terrorizzati, che non erano uccelli, si trattava invece di mostri volanti fatti di gas letali che, penetrando attraverso le narici, soffocavano gli esseri viventi strappandogli l’anima.
La “Cosa” aveva preso coscienza di sé e ora dominava sull’intero pianeta. Alcuni scienziati riuscirono a prelevarne un campione e scoprirono con orrore che era composta da tutte le sostanze chimiche e radioattive con le quali gli uomini avevano inquinato il pianeta per secoli.

“Nonno, nonno, ma nessuno provò a fermarla ?” chiesero i bimbi spaventati.
“Si, ma fallì” e il nonno proseguì il suo racconto.

Il gruppo di scienziati che aveva analizzato il frammento della “Cosa” cercò un mezzo per neutralizzarla, ma morirono quasi tutti vittime dei gas viventi che infestavano l’atmosfera. Il solo rimasto, il più giovane, continuò le ricerche e casualmente scoprì che a contatto con la Xaanite la “Cosa” si trasformava in una polvere inerme.

“Che cos’è la Xaanite ?” domandarono i bambini.
“é una roccia radioattiva che si trova solo sul pianeta Mercurio” rispose il nonno, e continuò.

Il giovane scienziato si mise in contatto con le autorità militari per informarle della sua scoperta. Quest’ultime decisero immediatamente di organizzare il viaggio verso il Pianeta. Ma ogni tentativo di abbandonare la Terra con un’astronave fallì: quando cercavano di partire la “Cosa” lì afferrava con centinaia di tentacoli e li trascinava nelle profondità del pianeta. Quando fu chiaro che non c’era più nessuna speranza, il chimico si mise in contatto con la stazione lunare e, disperato, li mise al corrente dei fallimento. Spinto da un’improvvisa follia afferrò la Xaanite e si gettò contro la “Cosa”; per qualche istante sembrò avere la meglio: la “Cosa”, dopo aver capito che quella roccia era per lei fatale, indietreggiò, ma poi un tentacolo afferrò il giovane alla gola e lo trascinò dentro la melma. Fu a quel punto che le stazioni spaziali che orbitavano intorno alla Terra registrarono un boato agghiacciante: gli abitanti sopravvissuti stavano urlando mentre la “Cosa” li inghiottiva e li digeriva come una Nepenthes sanguinea.

“Nonno, allora come mai noi siamo qui ?”
“Perché, bambini, la stazione che i nostri antenati costruirono sulla Luna era anche una città-astronave e noi ci troviamo su di essa, in viaggio ormai da 213 anni, alla ricerca di un nuovo mondo!”.



Il Pinguino freddoloso

Al Polo Nord, insieme alla sua famiglia, viveva un pinguino tenero e ingenuo, di nome Pingu. Era un pinguino speciale, infatti, a differenza della sua famiglia e di tutti i pinguini che abitavano i Poli, aveva una caratteristica: era freddoloso. Un giorno, debole e infreddolito, si mise seduto su uno scoglio a parlare con Tricky, un saggio tricheco, di tutti i tentativi che aveva fatto per sconfiggere il freddo nella speranza che l’amico potesse dargli qualche suggerimento. “Ho tentato in tutti i modi” disse, “ho provato ad accendere un falò, ma il primo soffio di vento ha spento le poche fiamme che si erano accese; ho contattato una negozio di termosifoni, ma i dipendenti che dovevano consegnarmeli si sono persi; la nonna mi ha addirittura sferruzzato un cappello, una sciarpa, dei guanti e un maglione, ma non sono bastati a proteggermi dalle gelide correnti!”. Il tricheco allora gli consigliò ironicamente: “Perché non accendi una stufa?”. Il pinguino, però, prese il suggerimento sul serio ed esclamò: “Lo sai, hai proprio ragione, una stufa non si spegnerebbe mai, mi scalderebbe a sufficienza e, ora che ci penso bene, ho un cugino che lavora in una fabbrica di stufe, i suoi operai sono gente seria e affidabile, non si perderanno di certo!”. Il tricheco provò a replicare: “Ma io stavo scherzando: se accenderai una stufa al Polo Nord, potranno esserci gravi conseguenze!”. Il pinguino, però, lo stava a malapena ad ascoltare e aveva già il cellulare in mano. Il giorno dopo gli operai arrivarono e montarono una bella stufetta alogena nell’igloo di Pingu, che, felice e soddisfatto, esclamò: “Così starò al calduccio e poi, cosa potrà succedere di tanto grave come dice Tricky?”. I giorni passavano, il pinguino trascorreva 24 ore su 24 davanti alla stufa, non accorgendosi che il suo igloo cominciava a sciogliersi, e ogni volta il tricheco lo avvisava: “Se continui in questo modo accadrà una catastrofe universale!”, ma la risposta di Pingu era sempre la stessa: “Non ti devi assolutamente preoccupare, non potrà succedere nulla!” Erano passate solo poche settimane: i ghiacci del Polo Nord cominciarono a sciogliersi, ed il calore era così forte che arrivò fino al Polo Sud, dove accadde la stessa cosa. Il pinguino, irremovibile, non cambiava opinione. La neve continuava a sciogliersi e l’acqua cominciò a sommergere i continenti, fino a che sulla Terra rimase solo un’immensa distesa d’acqua e gli unici esseri viventi che la popolavano erano i pesci e gli altri animali acquatici. Il pinguino se ne stava lì, sull’unico frammento di ghiaccio rimasto, a riscaldarsi davanti alla sua adorata stufa alogena, e continuava a ripetersi: “Che sarà mai successo di tanto grave, l’importante è che io sono al caldo!”

Non riscaldare il mondo che si scioglie !


Maxi ago per cucire il buco dell'ozono


Signori e signore, aprite bene le orecchie. Oggi e ripeto, solo oggi, avrete la possibilità di acquistare “il Maxi Ago per Cucire il Buco dell’Ozono”. L’ago è costruito in un resistentissimo materiale ecologico: il ferro riciclato. 
Gli oggetti in  metallo sono stati artigianalmente fusi al Sole e sono stati fatti raffreddare in un freezer. E pensate, quando alcuni pezzi che non si erano sciolti molto bene si erano staccati, sono stati manualmente e, ripeto, “manualmente” riattaccati con l’attack. Nonostante il ferro sia super resistente è leggerissimo, in modo che possiate usarlo senza troppi sforzi: pesa soltanto una tonnellata. Inoltre non c’è da preoccuparsi: se vi cadrà addosso il super ago non si spezzerà. Ma ora passiamo ad esaminare la punta. Anch’essa in ferro è pensata in modo che anche i bambini sotto i 50 anni non si facciano del male, infatti, appena vi pungerete, e questo vi causerà un buco di soli 150 punti, dall’estremità uscirà un infermiera robot che vi curerà in un battibaleno senza ulteriori spese. Insieme al maxi ago riceverete persino una lunghissima scala per poter salire fino all’atmosfera: pensate, c’è soltanto il 99,9% delle probabilità che possiate cadere, basteranno solo circa un centinaio di persone a reggere la scala. È in legno tarlato con tarli compresi e, sottolineo, i tarli sono inclusi nel prezzo. Insomma affrettatevi a chiamare, grazie ad una semplice telefonata potrete ricevere il maxi ago a soli 10.000 €, veramente un piccolo prezzo per aiutare il pianeta danneggiando solo una persona: voi stessi.

Metamorfosi

Erano passati già dieci giorni dall’inizio della mia spedizione in Madagascar per osservare il Sifaka Diadema, una specie animale in via di estinzione, eppure ancora non era successo niente: sembrava che quelle creature, essendosi indispettite del mio arrivo, non volessero collaborare per nulla e se ne stavano nascoste nel cuore della foresta, dove io avevo paura di inoltrarmi a causa dei predatori famelici. Al crepuscolo cominciai a sentirmi strana. Non so spiegare con precisione cosa mi stesse succedendo, ma ebbi la sensazione che il mio corpo volesse abbandonarmi, che non ce la facesse più a sopportarmi e che anche la mia coscienza volesse liberarsi di lui per poi entrare in un altro corpo. Ebbi poco tempo per pensare, mi stavo trasformando ed era questa l’unica preoccupazione. Dai pori della pelle vidi spuntare peli rossicci che in breve si tramutarono in una pelliccia folta e setosa; era così colorata e variegata che quasi provai un briciolo di piacere. Intorno al volto, che ormai si era trasformato in un simpatico musetto, era spuntata una corona di pelo bianco, che aveva ricoperto anche le guance e la fronte. Il resto del musetto, invece, era nero: trovai di buongusto il contrasto di colori. Anche sulla parte superiore della schiena era spuntata una soffice pelliccia color grigio ardesia, che sfumava in un argento opaco nella parte inferiore. Mi era cresciuta anche una lunga e morbida coda che assomigliava, ad eccezione dei  colori, a un piumino per spolverare; come i fianchi e il ventre, era di color grigio pallido con insolite sfumature di bianco, mentre l’estremità superiore era di un color giallo dorato, veramente splendida. Le mani e i piedi erano rivestiti di una peluria nera, che si differenziava dal color nocciola degli arti inferiori e superiori. Anche gli occhi erano cambiati: erano diventati di color bruno-rossastro, piccoli e lucidi, tanto da assomigliare a due bottoncini. Mi ero trasformata in un mammifero alto circa un metro, di certo non pesavo più di sette chili ed ero dotata di un’agilità fenomenale: a terra mi muovevo spiccando lunghi salti, come se stessi saltando di ramo in ramo; risi di me stessa  a causa di questa buffa andatura. Ero diventata un Sifaka Diadema. Accolsi la trasformazione con razionalità e tranquillità: in fondo avrei potuto approfittarne per studiare da vicino quegli animali, e comunque prima o poi sarei tornata un essere umano. Mi era venuta fame, allora mi lasciai guidare dall’istinto e mi diressi verso un angolo della foresta dove crescevano piante cariche di giovani germogli di bambù; conclusi il pasto con una bella scorpacciata di frutti, foglie e fiori. Il mio nuovo habitat era meraviglioso: alberi esotici offrivano frutti tropicali succosi e ovunque c’erano fiori ed erbe dai colori stupendi e dai mille profumi. Per un attimo mi fermai a riflettere, ripensai ai miei studi sulla specie e provai una profonda tristezza: benché il mio habitat fosse così bello si estendeva solo per 25-50 ettari: fino al fiume Mangoro a sud e fino a Maroantsetra a nord. Facevo parte di una specie ad altissimo rischio di estinzione.
Perché l'uomo ci aveva fatto questo? 


martedì 28 giugno 2011

I Pensieri del Sabato

Una partita di calcio coi bimbi sudati che urlano goal
Quattro amiche pettegole che bevono il cappuccino al bar
La mamma e la figlia che comprano a tutto spiano
Il papà tirchio che spende rattristato
I bambini entusiasti dell’ultimo giorno di scuola
Il bambino sull’erba che osserva la coccinella sulla mano
Il cagnolino arrabbiato che rincorre la propria coda
Il micio ordinato che si lecca la zampina
L’uccellino sfiatato che canticchia sul ramo
La margheritina che bella si fa al Sole
La rosa invidiosa che punge maldestra
Il saggio pino che scuote le fronde
Il cavallo imbizzarrito che corre nel maneggio
La bambola paziente che aspetta in vetrina
Son tante le meraviglie
Del Sabato son lievi i pensieri.



L’Autunno

L’Autunno è …
Il venditore di caldarroste all’angolo della strada,
la fornaia che prepara crostate all’albicocche,
il respiro di un soldato che ha perso la guerra,
lo zio coi baffi che fuma il sigaro,
il cigolio della sedia a dondolo che si culla a fatica,
il pennello lasciato nella scodella di terracotta,
la pentola di rame con salciccia e fagioli,
la fisarmonica arrugginita del musicista sfrattato,
la zucca che giace nell’orto con le sue sorelle,
il sentiero nel bosco che si veste di colori caldi,
il fiume saggio che dorme sereno,
le fatine vestite con petali secchi di girasoli,
la noce moscata sparsa sul tappeto,
le toppe della parnanza,
la lingua ruvida della mucca che lecca il volto al contadino.


Un'Iliade in rima


La nostra storia iniziò
Quando Peleo di invitar Eris si scordò
Per assister al suo banchetto nuziale,
Sapeva infatti che era la dea  del male.
Era famosa per metter discordia
E di nessuno aveva misericordia.
Eris offesa al pranzo si presentò
E la sua ira lei  scatenò.
Sul tavolo una mela d’oro lanciò
“Alla più bella” proclamò.
Per questo subito scoppiò una lite
Tra le ospiti più gradite:
Afrodite, dea della bellezza,
Atena, dea della saggezza
Ed Era sposa ingannata
Che voleva essere amata.
L’ infedele Zeus allora decretò:
La parola al più affascinante andò.
Era Paride, il bel principe troiano
Figlio di Priamo, che di Ilio era il sovrano.
Le tre dee di corromperlo cercarono,
Con una proposta lo allettarono:
Era gli offrì la potenza e la ricchezza,
Atena l’eterna sapienza e saggezza,
Afrodite una sposa dall’immensa bellezza.
Paride il terzo dono accettò
E alla dea il pomo donò.
Era Elena, del greco re Menelao, la sposa
Ed era splendida come una rosa.
Paride ed Elena si innamorarono
Ed insieme di nascosto scapparono.
Il re Menelao era infuriato
E tutti i re della Grecia aveva radunato.
Iniziò così la sanguinosa guerra,
Che per dieci anni devastò di Troia la terra.


Dopo nove anni di aspri combattimenti
I due popoli erano agli sfinimenti.
I Greci sulla spiaggia vicino alle navi si erano accampati,
Mentre i Troiani nelle mura della città si erano ritirati.
Crise, sacerdote troiano,
Che di Criseide era il padre anziano,
Ad Agamennone si prostrò
E la libertà per la figlia schiava implorò:
Oro e argento per il riscatto gli offrì
Ma Agamennone infuriato si inasprì.
Gli altri re greci non ascoltò,
Ma al contrario il sacerdote cacciò
E Crise insultato si allontanò.
Addolorato, il sacerdote ad Apollo si rivolse
E il dio le sue preghiere accolse.
Con le sue frecce una pestilenza scatenò
E il popolo greco assai si disperò:
Per nove giorni uomini e animali morirono
E gli Achei davanti alla collera divina si intimorirono.
Il decimo giorno con a capo Achille si radunarono
E da un indovino si presentarono
Per conoscere la verità
Su tutte quelle avversità.
Calcante rivelò: “Agamennone è  il colpevole,
ha trattato Crise in modo spregevole:
Il dio Apollo si è infuriato
E la sua ira ha  scatenato.
Criseide al padre va restituita
E la collera divina sarà finita!”.
Agamennone a casa rimandò Criseide
Ma in cambio pretese Briseide,
Che era di Achille la schiava adorata
E non l’avrebbe mai abbandonata.
Tra Achille e Agamennone scoppiò una lite
A causa delle schiave più gradite.
“Avido ed egoista” Achille lo accusò,
Ma Agamennone non si ritirò:
Riuscì ad ottenere ciò che chiedeva,
Ed Achille ucciderlo voleva.
La dea Atena lo trattenne
E Achille fece un giuramento solenne:
Non sarebbe andato in combattimento
E sulla spiaggia portò il suo tormento.
La madre Teti aveva invocato
E con lei si era sfogato.
Una breve ma eroica vita lo aspettava
Ma il giuramento la gloria gli negava
Alla guerra non avrebbe partecipato
E nessuno lo avrebbe ricordato.
Teti nell’Olimpo andò
E il dio Zeus scongiurò:
“Che la battaglia vincano i Troiani
Affinché i Greci col cuore tra le mani
Supplichino  Achille, il più valoroso,
Perché senza di lui lo scontro è doloroso”.
Le battaglie furono tante,
Ma nessuna determinante.
Si fronteggiarono i più valenti,
Ma i Troiani erano sempre i vincenti:
Alle navi greche arrivarono
E, guidati da Ettore, il fuoco vi appiccarono.
A Troia Ettore era l’eroe più amato,
E di Priamo il figlio adorato
Non amava la guerra, ma per salvare la città
Per lui era una necessità.
Non cercava la gloria,
Ma combatteva per la vittoria,
Per la difesa della sua gente
Che amava come ogni  parente.
Il fuoco le navi aveva incendiato
E Patroclo dall’amico Achille si era recato
Delle sue armi lo spogliò
E lui stesso le indossò:
I Troiani voleva affrontare
Per poterli terrorizzare.
Rivestito da un’armatura splendente
Terrorizzò di Troia la gente
Che, credendo fosse Achille,
Corse verso le mura a mille.
Ettore però paura non dimostrò
E con coraggio in un duello lo affrontò.
Patroclo fu ucciso da  Ettore, il vincente,
Che lo privò della sua armatura lucente.
Alla morte dell’amico Achille si disperò
E di tornare a combattere egli giurò.
La madre Teti chiese al dio Efesto
Tutto ciò che il figlio aveva richiesto:
Nuove armi voleva indossare
Per poter di nuovo guerreggiare.
Nella mura cittadine i Troiani si riparavano
Mentre Ettore e Achille all’esterno si sfidavano:
Una spada Achille nel petto di Ettore infilzò
E dopo il suo corpo con un carro trascinò.
Di Priamo Achille ebbe molta pietà
Quando egli gli si presentò con dignità
La salma del figlio chiese di riavere
E per Achille fu un vero dovere:
All’anziano padre Peleo pensò
E la salma intenerito gli consegnò.
La nostra storia si concluse tragicamente
Con un funerale assai commovente.



lunedì 27 giugno 2011

Vendesi oggetto inutile

Benvenuti signori e signore su “Utilissimi oggetti inutili”, canale 152 del vostro Digitale Terrestre. Oggi vi offriamo moltissime offerte che non potrete rifiutare. Vorrei cominciare dall’oggetto portante della serata: un oggetto che vi terrà incollati al televisore: la penna che non scrive. Grazie a questo inutilissimo oggetto potrete evitare di passare ore ed ore a studiare, leggere e scrivere, ma avrete l’opportunità di uscire a giocare con i vostri amici, guardare la TV e incollarvi davanti al computer e a giochi elettronici. Vi chiedete il motivo? Semplice! Quando i professori vi detteranno i compiti, farete finta di scrivere e poi, a casa, quando i genitori vi controlleranno il diario, penseranno che i vostri insegnanti non vi abbiano assegnato niente. Certo, un piccolo inconveniente c’è: il giorno dopo prenderete una nota  per non aver fatto i compiti. Ma questo è solo un dettaglio poiché la penna che non scrive ha molti altri privilegi. Prendendola in mano le rotelle massaggianti di cui la penna è dotata cominceranno a girare dando una sensazione di relax e tranquillità, libererete la testa da ogni pensiero negativo e potrete, inoltre, scegliere dieci tipi di velocità e cinquanta modalità di massaggio. È, per di più, rivestita da un soffice strato sottilissimo di ovatta, seta e piume d’oca che contribuirà a darvi un senso pace e morbidezza. Se viene immersa nell’acqua la penna cambia colore e prende un diverso profumo. Già, perché la prodigiosa penna che non scrive è profumata: un aroma così dolce e avvolgente che vi libererà il setto nasale quando avrete il raffreddore. La punta, che naturalmente non è dotata di inchiostro, è fine e sottile e non punge. Insomma questa penna è davvero miracolosa, ricordate: d’ora in avanti non sarete più costretti a fare per ore ed ore i compiti, solo chiamando il numero 800 700 200. Riceverete subito la penna a soli 139,90 euro IVA inclusa.

Il Paese che Vorrei


Il paese che vorrei
è un luogo incantato e distante,
che non si trova su nessun atlante.
Si raggiunge solo con molta fantasia
un po’ di magia e un pizzico d’allegria.
C’è una luna paffuta dai colori sorprendenti
che ogni sera dipingon le streghe sapienti
e le stelle del cielo tutte l’ammirano,
danzandole intorno alla sua bellezza aspirano.
E d’Estate un Sole ghiacciato per rinfrescare
che s’infiamma in Inverno per riscaldare;
e lo vedi risplendere in un cielo verde
che all’orizzonte coi campi turchini si perde.
E poi un arcobaleno che, anzitempo, i suoi colori sfoggia
preannunciando, tra le nuvole, l’arrivo della pioggia.
E una vaporosa cascata in un lago leggera si scioglie,
diradandosi svela le rane e i pesci ciarloni che accoglie, 
e fra le rocce ninfe dal canto armonioso
che il mattino rendono più gioioso.
E un vecchio bosco abitato da folletti dispettosi
che indossano cappelli invero spiritosi,
e poi scoiattoli e cerbiatti giocherelloni
che sono di bacche dei veri ghiottoni.
E un parco fitto d’alberi, di frutti abbondanti,
che avverano anche i desideri più stravaganti.
E piscine dove sguazzano delfini d’argento
che sanno volare col soffiare del vento.
E un antico castello che emerge dalla rocca
ove i fantasmi narrano del maniero la filastrocca:
gli ospiti curiosi non desiderano più spaventar
e la loro storia preferiscono rivelar.
E strade insolite condotte dall’umore
che cambiano posizione con grande fragore:
molte vie mostra la contentezza,
nessun luogo raggiunge la tristezza.
E poi ancora case chiacchierone
che sui loro padroni fan gran conversazione:
di ogni vicino i segreti sanno
combinando sovente singolar danno.
Ma ciò che vorrei sopra ogni cosa
è una scuola felice e assai festosa:
chi studia ed è cortese vien bocciato
e chi fa il pigro fannullone vien premiato.
Questo è il paese dei miei desideri:
dove tutti son più sereni e sinceri,
la gente che incontri è sorridente
e ti accoglie in casa calorosamente.