mercoledì 29 giugno 2011

Metamorfosi

Erano passati già dieci giorni dall’inizio della mia spedizione in Madagascar per osservare il Sifaka Diadema, una specie animale in via di estinzione, eppure ancora non era successo niente: sembrava che quelle creature, essendosi indispettite del mio arrivo, non volessero collaborare per nulla e se ne stavano nascoste nel cuore della foresta, dove io avevo paura di inoltrarmi a causa dei predatori famelici. Al crepuscolo cominciai a sentirmi strana. Non so spiegare con precisione cosa mi stesse succedendo, ma ebbi la sensazione che il mio corpo volesse abbandonarmi, che non ce la facesse più a sopportarmi e che anche la mia coscienza volesse liberarsi di lui per poi entrare in un altro corpo. Ebbi poco tempo per pensare, mi stavo trasformando ed era questa l’unica preoccupazione. Dai pori della pelle vidi spuntare peli rossicci che in breve si tramutarono in una pelliccia folta e setosa; era così colorata e variegata che quasi provai un briciolo di piacere. Intorno al volto, che ormai si era trasformato in un simpatico musetto, era spuntata una corona di pelo bianco, che aveva ricoperto anche le guance e la fronte. Il resto del musetto, invece, era nero: trovai di buongusto il contrasto di colori. Anche sulla parte superiore della schiena era spuntata una soffice pelliccia color grigio ardesia, che sfumava in un argento opaco nella parte inferiore. Mi era cresciuta anche una lunga e morbida coda che assomigliava, ad eccezione dei  colori, a un piumino per spolverare; come i fianchi e il ventre, era di color grigio pallido con insolite sfumature di bianco, mentre l’estremità superiore era di un color giallo dorato, veramente splendida. Le mani e i piedi erano rivestiti di una peluria nera, che si differenziava dal color nocciola degli arti inferiori e superiori. Anche gli occhi erano cambiati: erano diventati di color bruno-rossastro, piccoli e lucidi, tanto da assomigliare a due bottoncini. Mi ero trasformata in un mammifero alto circa un metro, di certo non pesavo più di sette chili ed ero dotata di un’agilità fenomenale: a terra mi muovevo spiccando lunghi salti, come se stessi saltando di ramo in ramo; risi di me stessa  a causa di questa buffa andatura. Ero diventata un Sifaka Diadema. Accolsi la trasformazione con razionalità e tranquillità: in fondo avrei potuto approfittarne per studiare da vicino quegli animali, e comunque prima o poi sarei tornata un essere umano. Mi era venuta fame, allora mi lasciai guidare dall’istinto e mi diressi verso un angolo della foresta dove crescevano piante cariche di giovani germogli di bambù; conclusi il pasto con una bella scorpacciata di frutti, foglie e fiori. Il mio nuovo habitat era meraviglioso: alberi esotici offrivano frutti tropicali succosi e ovunque c’erano fiori ed erbe dai colori stupendi e dai mille profumi. Per un attimo mi fermai a riflettere, ripensai ai miei studi sulla specie e provai una profonda tristezza: benché il mio habitat fosse così bello si estendeva solo per 25-50 ettari: fino al fiume Mangoro a sud e fino a Maroantsetra a nord. Facevo parte di una specie ad altissimo rischio di estinzione.
Perché l'uomo ci aveva fatto questo? 


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