sabato 30 luglio 2011

Le avventure di Bibobao


Dovete sapere cari bambini, che moltissimi anni fa, in un luogo sperduto e nascosto della Terra, vivevano, e tutt’ora vivono, i Baoblù, una tribù di creature dalle sembianze umane ma con caratteristiche molto particolari. Ad esempio, come si può intuire dal nome, la loro pelle era blu, ma avevano il potere di cambiare colore in modo da mimetizzarsi come dei camaleonti; sapevano parlare tutte le lingue del mondo e arrivare in qualsiasi parte della Terra soltanto chiudendo gli occhi. Questo terzo potere era veramente il più sorprendente di tutti, perché i Baoblù abitavano davvero molto, molto lontano, dove nessuno avrebbe mai pensato potesse esistere forma di vita: in un mondo parallelo, dove vivevano i popoli Bao. Per raggiungere la tribù si doveva attraversare il mare dei Baoazzurri, fino a raggiungere il Centro della Terra, dove abitavano i Baorossi. Occorreva, poi, creare un mulinello di fuoco, recitando una formula che solo i Baoblù conoscevano, e attraversarlo. I popoli Bao vivevano indisturbati e sereni senza essere a conoscenza dell’esistenza di altre civiltà. Non erano interessati a sapere se ci fossero altri Mondi sconosciuti, tranne ad uno, il più minuto ed esile dei Baoblù, ma anche il più forte e coraggioso: Bibobao. Era l’unico che avesse voglia di scoprire che cosa ci fosse al di là del suo villaggio e quali fossero le altre genti, oltre ai popoli Bao, che popolassero la Terra. Secondo un’antica legge, nessuno poteva lasciare la propria tribù e vivere da solo, né si poteva decidere di non appartenere più al popolo Bao, perché ognuno di loro aveva talenti e caratteristiche differenti, ad esempio i Baoblù, la tribù dell’aria, avevano il compito di spazzare via le nubi dal cielo, in modo da far tornare sempre il sereno; i Baoazzurri, la tribù dell’acqua, dalla pelle azzurra, avevano il compito di soccorrere i pesci feriti e scatenare piogge abbondanti, in modo da favorire la fertilità dei terreni; i Baoverdi, la tribù della terra, dalla pelle verde, avevano il dovere di trasformare il campo più incolto e abbandonato in un orto con frutti succosi e verdure genuine, e il più insignificante pezzo di terra, in uno splendido giardino con le varietà più rare di fiori e piante; i Baorossi, la tribù del fuoco, dalla pelle rossa, avevano il compito di mantenere costante la temperatura della Terra.  L’unico modo per poter andarsene era fuggire di nascosto, senza essere scoperti, altrimenti sarebbero stati guai seri per il nostro protagonista. Così, in una notte buia e tempestosa, fornitosi di cibo e acqua, Bibobao chiuse gli occhi e desiderò di trovarsi nel luogo più lontano dal suo villaggio. Si ritrovò in mezzo a un deserto, dove viveva il popolo dei Baomarroni. Ora, dovete sapere che tra le tribù Bao non correva buon sangue, così, quando il Capobaomarrone, vide un altro Bao straniero nel suo territorio minacciò di confessare tutto ai Baoblù, a meno che… “ Ta davraa canvancaara a Baaazzarra a far paavara anca da naa!”. Avete indovinato, i Baomarroni avevano l’abitudine di usare, come unica vocale la lettera “A”; in poche parole il nostro protagonista avrebbe dovuto convincere i Baoazzurri a far piovere anche nelle terre dei Baomarroni. Bibobao si incamminò verso il mare dei Baoazzurri convinto che avrebbero rifiutato e che per lui sarebbero stati guai seri; ma… “ Ve bene, me e pette che te chenvenche e Beeresse e rescheldere le nestre ecque sempre gelede!” Questa volta Bibobao avrebbe dovuto convincere i Baorossi a riscaldare le acque dei Baoazzurri, che, come avrete capito, usavano invece la lettera “E”. Si avviò, allora, verso il Centro della Terra. Anche i Baorossi posero una condizione: “Ti Divrii chinvinciri i Biivirdi i chiltiviri i nistri tirrini inchilti!” Adesso avrebbe dovuto convincere i Baoverdi a coltivare i terreni dei Baorossi, che come vedete, utilizzavano la lettera “I”. Allora intraprese la strada verso il popolo dei Baoverdi. Immancabilmente anche loro avevano una condizione da porre a Bibobao: “O potto co to spozzo voo lo nobo dol ciolo : so sto proporondo ono tomposto do grondono co rovonorò lo frotto oppono motoro o soccoso!”. I Baoverdi volevano che Bibobao spazzasse via le nubi dal cielo, poiché si stava preparando una tempesta di grandine che avrebbe distrutto la frutta appena matura. E allora l’omino spazzò via le nubi dal cielo dei Baoverdi, che coltivarono i terreni dei Baorossi, che riscaldarono l’acqua dei Baoazzurri, che fecero piovere nel deserto dei Baomarroni, che non raccontarono nulla ai Baoblù. Bibobao chiese allora ai Baomarroni di poter proseguire il suo cammino, il Capobaomarrone domandò all’omino dove andasse ed egli rispose: “Voglio scoprire quali altri popoli, oltre alle tribù Bao popolano la Terra!” . Allora la tribù del deserto fece un’ultima richiesta: chiesero a Bibobao di riportare loro un qualcosa che li avrebbe trasportati senza nessuno sforzo alla fonte d’acqua più vicina, in modo da non camminare più tutte le mattine per chilometri. L’omino sorrise e proseguì il suo cammino. Passò a salutare la tribù dei Baoazzurri e, anche essi chiesero un ultimo favore: un oggetto che potesse arrivare direttamente alle nuvole, in modo da evitarsi la fatica di sgonfiare personalmente le nubi con un ago ogni volta che occorreva un po’ di pioggia. L’omino sorrise e continuò il suo cammino. Passò a salutare la tribù dei Baorossi, che, inevitabilmente, fecero a Bibobao un’ultima richiesta: avrebbe dovuto portar loro qualcosa che gli avrebbe permesso di non riscaldare di persona la Terra, soprattutto d’Inverno, quando era molto freddo ed era quasi impossibile riscaldare il pianeta solo con il loro alito di fuoco. Bibobao sorrise ancora una volta e riprese il suo cammino. Si fermò poi a salutare la tribù dei Baoverdi. Anche questi, naturalmente, chiesero al nostro protagonista un ultimo favore. Il re di Molto Molto Lontano aveva chiesto alla tribù un giardino con varietà di fiori mai viste, che avrebbe sbalordito tutti: il popolo Baoverde chiese allora il fiore più spettacolare che nessuno avesse mai visto. Continuò a camminare, stanco e affamato, senza una meta, ma con la convinzione che prima o poi avrebbe incontrato una nuova civiltà. Quando vide un bell’albero ombroso decise di sdraiarsi a sbocconcellare la sua pagnotta, ma, all’improvviso si addormentò. Dormì per anni e anni e quando si svegliò si ritrovò in un mondo sconosciuto. Era davvero strano: era pieno di rovine, sembrava che lì fosse esistito qualcuno, ma che poi se ne fosse andato per non tornare mai più. Bibobao era triste e deluso: tutte quelle fatiche, tutto quel cammino, per che cosa? Che cosa avrebbe portato ai popoli Bao? Ma si rallegrò subito vedendo una piccola e malandata bottega con l’insegna “Il Bazar Delle Meraviglie”. Entrò sbalordito, ma trovò soltanto un vecchietto che si rigirava i pollici. Molto educatamente salutò e, un po’ intimorito, domandò: “Mi scusi signore, lei è un artigiano?”. Ma il vecchietto se ne stava lì immobile senza rispondere. Bibobao porse allora al vecchio un pezzo di carta dove aveva annotato tutto ciò che gli era stato chiesto dai popoli Bao. L’anziano signore stette un po’ a pensare e poi consegnò all’omino degli animali enormi, dalle lunghe zanne d’avorio, erano degli elefanti; poi gli consegnò una strana luce lampeggiante, era un fulmine; a seguire gli diede un fiore pungente, rosso come il sangue, era una rosa; ed infine, cosa più straordinaria di tutte una immensa palla infuocata, il Sole. D’un tratto la bottega sparì e Bibobao si ritrovò solo tra le rovine. Si riaddormentò di nuovo; quando si svegliò si ritrovò di nuovo nel deserto, dove consegnò alla tribù dei Baomarroni gli elefanti, ai Baoazzurri il fulmine, ai Baorossi il Sole e ai Baoverdi la rosa. Tutti furono molto contenti e soddisfatti dei regali ricevuti, ma non proprio tutti. Bibobao, infatti, si aspettava un po’ di più, e, così, decise di ritornarsene alla sua solita vita di Baoblù, nella sua tribù. Ma bambini aspettate, la fiaba non è ancora finita, perché voglio farvi una domanda: chi era secondo voi quel vecchietto nella baracca capace di realizzare oggetti così sorprendenti?
Già, avete indovinato: era Dio!


Un Cenerentolo moderno

C’era una volta, qualche anno fa, nella grande Parigi, un giovane molto ricco; viveva felicemente con il padre e con la madre, in un’immensa villa, dotata di una confortevole vasca idromassaggio, di una grande piscina e di molte, molte stanze. Anche la servitù non era da meno: un numero esagerato di domestici si occupava della villa, i giardinieri curavano le piante e le aiuole, mentre chef provenienti da tutto il mondo preparavano le pietanza più elaborate e raffinate. Sfortunatamente nell’Inverno del 2007 il padre morì travolto da una valanga di neve a Saint Moritz, dove la famiglia si era recata per la stagione invernale. Dopo pochi mesi la madre si risposò con un uomo malvagio e calcolatore, che aveva portato in casa due figli: per la loro bellezza e la loro giovinezza sembravano angeli, ma in verità erano perfidi e crudeli come il padre. Così, quando la madre dovette trasferirsi a New York per affari, il patrigno e i fratellastri cominciarono a trattare male il giovane: licenziarono la servitù solo per il gusto di veder lavorare faticosamente il ragazzo, costretto a svolgere i lavori più pesanti. Gettarono via i suoi abiti firmati e gli fecero indossare degli stracci. La sera, invece di recarsi nei locali più esclusivi a bordo delle auto più lussuose, come facevano i suoi fratellastri, si rannicchiava vicino al camino ad accarezzare il suo gatto d’Angora, sporcandosi di cenere: per questo lo soprannominarono Cenerentolo.
Accadde che una famosa attrice, un giorno, organizzò un party molto importante dove vennero invitati tutti i VIP di Parigi; voleva scegliere l’uomo perfetto per il ruolo di protagonista del suo prossimo film, un volto nuovo che la colpisse e che potesse sfondare nel mondo dello spettacolo. Ricevettero l’invito anche Cenerentolo e la sua famiglia. I fratellastri e il patrigno erano su di giri: acquistarono i vestiti più eleganti della nuova collezione di Armani e tre auto sportive rosso fuoco. Cenerentolo supplicò il patrigno: “Ti prego, anch’io desidero venire alla festa, per avere l’opportunità di diventare famoso”. Ma l’uomo rispose deciso: “Tu, tu Cenerentolo vorresti andare al party di una celebrità?! Sei vestito di abiti laceri e sei sporco come un maiale! Tu non vieni assolutamente, faresti sfigurare i tuoi fratelli e manderesti a monte la possibilità che possano avere un futuro d’attori”. Quando il padre e i fratelli se ne furono andati, Cenerentolo si sedette tristemente in giardino. Mentre era assorto nei suoi pensieri, dalla piscina emerse una splendida ninfa dell’acqua che chiese al giovane: “Perché sei così triste?” e lui rispose: “I miei fratellastri e il mio patrigno sono andati ad una festa, ma io non posso partecipare perché non ho vestiti da indossare”. La ninfa, generosa, invitò il giovane ad entrare nella piscina e, quando ne uscì, era vestito con un abito di un’eleganza mai vista e  la cosa più sorprendente era che l’abito fosse perfettamente asciutto. La ninfa però aggiunse: “Ricorda, se solo una goccia di acqua ti sfiorerà tutto svanirà”. Ma il giovane senza starla troppo a sentire corse subito verso il cancello e vide che al posto della sua vecchia bici era comparsa una limousine nera con l’autista. Arrivò alla festa e, tutte le ragazze rimasero affascinate da lui, ma più di tutte una fanciulla che si era fatta largo tra la folla: era la famosa attrice. Parlarono tutta la notte: la ragazza era così presa da Cenerentolo che non rivolse la parola a nessun altro, dimenticandosi persino dei provini; i fratellastri, che non avevano riconosciuto il ragazzo, erano pieni di rabbia e di invidia per essere stati completamente ignorati. Quando si fece notte e tutti gli ospiti se ne furono andati, i due giovani si sedettero su una panchina, accanto ad una fontana: da lì si vedeva un panorama spettacolare, la Tour Eiffel era adornata di luci e la luna si rifletteva nell’acqua della fontana creando un effetto magico. Cenerentolo guardò la fanciulla e le confessò: “Anche se penserai che sia pazzo e che stia delirando, perché con una sola notte non si può conoscere una persona, io penso di essermi innamorato di te e…”; in quel momento, mentre stavano per darsi un bacio, una goccia d’acqua sfiorò la mano del giovane, e appena se ne accorse scappò via senza dare spiegazioni. I fratellastri e il patrigno erano già a casa, ma non si erano accorti che Cenerentolo mancava. L’attrice voleva a tutti i costi ritrovare il ragazzo che l’aveva fatta innamorare. Decise di fare dei provini: chi avesse ripetuto tutto ciò che le era stato detto accanto alla fontana con la stessa intensità, e che l’avesse guardata con gli stessi occhi, sarebbe stato l’uomo della sua vita. Accorsero numerosi, compresi i fratellastri che fecero una figuraccia dicendo un mare di sciocchezze. Anche Cenerentolo vi prese parte, ma quando fu il suo turno non ripeté le stesse identiche parole. L’attrice lo riconobbe comunque, per la sua intensità, il suo sguardo e, malgrado indossasse solo abiti laceri, per la sua classe. Davanti agli occhi sbalorditi dei fratellastri e del patrigno, lo abbracciò, gli confessò il suo amore e gli chiese se voleva sposarla.  E vissero per sempre felici e contenti.


Il bambino che mentiva sempre

C’era una volta, nel Paese-Che-Dir-Si-Voglia, una povera famigliola, che viveva in una misera stanzina. Il padre era morto da poco, e la madre era rimasta sola con il figlioletto di sette anni. Nonostante la loro povertà, i genitori non avevano mai fatto mancare niente al figlio, e, grazie alla vendita di un piccolo orto coltivato che possedevano, erano riusciti a mandarlo persino a scuola, anche se poi aveva dovuto smettere non avendo più soldi. Il bambino s’era però mantenuto scaltro e intelligente, e aveva una così fervida immaginazione che ogni giorno ne inventava una nuova: “Sapete mio nonno era il re di un regno molto, molto lontano, possedeva 100 castelli e 1000 scrigni colmi di monete d’oro, e poi mio nonno era un amico del papà del re: anzi, che dico amico, erano come due fratelli inseparabili, prendevano ogni decisione insieme e ognuno non muoveva un dito senza aver prima consultato l’altro”, questa era ultima fandonia che aveva raccontato. Anche se a quel tempo la gente credeva a qualunque cosa, in verità tutti gli davano retta perché lui era veramente bravo a raccontare storielle, e nessuno avrebbe mai creduto che fossero invenzioni. Si sa, in un paesello le voci si diffondono velocemente, e quando il re venne a sapere di questo giovincello, lo fece venire al suo cospetto. Il bambino per niente intimorito indossò gli abiti della Domenica e si presentò a palazzo. Il re Arturo non credette a nessuna storia, anche perché il ragazzo era un poverello, ma gli piacquero così tanto i suoi racconti, che decise di tenerlo un po’ con sé a corte per divertirsi. Le giornate passavano e il re era molto contento del suo nuovo ‘cantastorie’. Un giorno però il bimbo non seppe trattenersi, pensando che  il re, come al solito, non gli avrebbe creduto ma sarebbe solo scoppiato in una grande risata, ne raccontò una grossa: “Sapete vostra altezza, ieri stavo pescando per il pranzo in onore dei vostri cugini, quand’ecco ho sentito due soldati di re Leopoldo, vostro fratello, che stavano parlando, hanno detto che sta per cogliervi di sorpresa con una guerra per impossessarsi di tutto il paese”. Re Arturo, allora, credendogli, chiamò le guardie e ordinò: “Strigliate e date cibo ai cavalli, lucidate le armature e preparatevi: domani mattina faremo un assalto nel regno vicino”. Il bambino, con una risatina, se ne restò zitto e guardò soddisfatto la scena. Si fece mattina, tutto era pronto: le guardie armate erano già in sella ai cavalli e il re, maestoso sul suo destriero, fece un segno con la testa per dare inizio all’assalto. Arrivati nel paese di re Leopoldo, il Paese-Che-Dir-Si-Desideri, si accorsero che tutto era normale e che non sembrava affatto che il re suo fratello si stesse preparando per un assalto al Paese-Che-Dir-Si-Voglia: i bambini, all’alba, erano già svegli e giocavano a campana nella piazza principale; le donne prendevano l’acqua alla fonte, un uomo spegneva i lumini accesi durante la notte; il panettiere era lì, puntuale, nella sua cucina a impastare pane e dolci; il fabbro spezzava il silenzio con il rumore continuo del suo martello. Quando la gente si accorse dell’arrivo di re Arturo insieme ai suoi guerrieri a cavallo, si spaventò e corse a nascondersi. Al re parve molto strano ma, deciso, si diresse al castello del fratello. I cavalieri lasciarono i cavalli nel cortile del palazzo e si diressero da re Leopoldo. Quando il re del Paese-Che-Dir-Si-Desideri vide il fratello così armato, scortato da moltissime guardie, si spaventò e chiese: “Caro fratello, come mai mi hai onorato della tua visita?”. Il re del Paese-Che-Dir-Si-Voglia rimase sbalordito e raccontò tutto al fratello. Re Arturo capì allora che era stata solo una delle solite bugie del suo piccolo amico e ci passò sopra. I due re decisero di unire i due paesi facendo sposare i loro figli. Re Arturo tornò nel suo castello per i preparativi del fidanzamento dei giovani. Era il giorno della tanto attesa cerimonia di fidanzamento quando il bambino chiamò da parte il suo sovrano e gli confessò: “Sire, ho visto vostro nipote con un’altra donna, che per di più è soltanto una semplice contadina e poi …”; il re lo interruppe: “Carissimo, le tue storielle mi divertono molto, ma non raccontarne più di così pericolose, l’altra volta per poco non si è scatenata una guerra tra i due regni e ci sono passato sopra, ma se adesso ci riprovi giuro che ti faccio tagliare la testa!”. Ma il bambino, per niente intimorito, continuò a raccontare: “Stava anche con un bambino, sapete cosa vi dico, secondo me quel buono a nulla di vostro nipote si è fatto una famiglia di nascosto e pure con gente povera! Sire, vi giuro che è vero stavolta, non lo direi, altrimenti mi giocherei la testa; va bene, mi piace raccontare storielle, lo ammetto, ma non al punto di rischiare di morire ! E poi l’ho visto con i miei stessi occhi ieri mattina qui al villaggio, quando sono andato a far visita a mia madre!”. Il re, anche stavolta, si lasciò convincere e ordinò che suo nipote venisse arrestato e rinchiuso nelle carceri del palazzo. Il giovane cominciò a piangere e supplicò lo zio di liberarlo perché non aveva fatto nulla di male. Il padre, re Leopoldo, intervenne in sua difesa: “Caro fratello, vi giuro che mio figlio è innocente: non vi dico di fidarvi di vostro nipote, ma di me. L’ho tenuto segregato in camera sua per avermi disubbidito, fino a stamattina, e mi sono assicurato che le guardie vigilassero costantemente la sua porta in modo che non potesse uscire e che nessun suddito gli potesse aprire. Fidatevi !”. Re Arturo capì che per l’ennesima volta era stato beffato dal piccolo monello, anche questa volta non lo punì e gli ordinò di smetterla con le sue bugie. Venne il giorno del matrimonio. Il giovane aveva comprato alla sua sposa, come pegno d’amore, una collana di diamanti, e quando il bambino lo venne a sapere non poté fare a meno di entrare nella stanza della sposa per giocarci. La prese e uscì in cortile. Era veramente bellissima: le gemme risplendevano ai raggi del sole e la luce gli donava mille sfumature. Il bambino cominciò a farla volare in aria. Ma, quando si sentì chiamare dal re per l’inizio della cerimonia, si distrasse e la collana cadde in un tombino. Allora subito chiamò il re e piagnucolando raccontò: “Sire, vostra altezza, non potrete mai immaginare ciò che è successo: ero entrato nella stanza della futura regina per assicurarmi che fosse tutto a posto e che nulla potesse interrompere la cerimonia, quand’ecco ho visto arrivare, non so da dove, … è come apparsa dal nulla ed era così bella che avevo pensato fosse una fata, ma in verità era una strega. Sire non ho saputo reagire, me ne stavo lì, immobile, mentre guardavo la scena: ha rubato la collana e poi è scomparsa nel nulla. Lo so Sire è molto strano, nemmeno io ci credevo. Ma non roviniamo la festa ai due giovani in questo felice momento, quindi Sire andiamo ad assistere alla cerimonia …”. Il re però lo interruppe e gli disse: “E no caro mio, ne hai combinata un’altra delle tue, vero ? Hai perso la collana e hai mancato di rispetto a me. Stavolta ti verrà tagliata la testa!”. Il bambino scoppiò a piangere, ma il re non ebbe pietà, anzi, interruppe la cerimonia e tutti gli invitati si recarono al patibolo, dove il bambino sarebbe stato giustiziato. Anche la madre, piangendo, era tra il pubblico. La lama d’argento stava per scendere sulla testa del piccolo che frignava quando, all’improvviso, il re scoppiò in una grande risata e, rivolgendosi a tutto il popolo disse: “Cari sudditi, non penserete davvero che il vostro re faccia tagliare la testa a un bambino di soli otto anni! Non ti preoccupare piccolo, era solo una messa in scena per farti prendere un bello spavento, ma adesso mi prometti che non racconterai più bugie ?”. Il bambino non rispose nulla, ma fu veramente sollevato, aveva preso veramente un bello spavento, ma non gli era di certo passata la voglia di raccontare frottole: decise così di tornarsene a casa sua, dove avrebbe potuto raccontare le sue fandonie, anche pericolose, senza che nessuno gli dicesse niente. E così, tutti vissero per sempre felici e contenti!


mercoledì 13 luglio 2011

La mia aula

Secondo piano, quarta porta da sinistra: qui alloggia la prima A. L’aula si distingue per la continua “caciara” che si sente in ogni momento della giornata: “Bum, bum”, alcuni studenti che cadono in continuazione dopo essersi un po’ dondolati con la sedia, “Bla, bla, bla”, le chiacchiere di tutta la classe, “etciù”, Luciano che starnuta e poi strepita chiedendo un fazzoletto per paura che il muco gli vada alla gola, “sssssshhhhh”, i professori che tentano di farci stare zitti, ma che poi ricorrono al loro metodo infallibile, la nota. Durante le lezioni l’aula ha un sapore amarognolo, aspro, ma, al suono della campanella si respira aria di libertà, di gioia; il dolce profumo delle cioccolate calde e dei cappuccini è il meritato premio dopo tante ore di noia e di sofferenza ! L’aula non è la più spaziosa, ma è di certo la più accogliente di tutta la scuola. Le quattro grandi finestrone della parete frontale non sono le responsabili dell’ illuminazione, dal momento che sono coperte da cartelloni, ma il merito è delle luci a neon appese al soffitto. Quest’ultimo è sporco e impiastricciato: dei ragazzini che hanno “vissuto” nell’aula prima di noi si sono divertiti a lanciare al soffitto degli stomachevoli mostriciattoli gommosi che, ancora oggi, sono appiccicati lì, danno l’impressione di poter cadere da un momento all’altro in testa a qualcuno. Le pareti hanno gli angoli sbeccati e alcune parti di cartongesso sono cadute e lasciano intravedere il cemento. Non si può neanche dire che siano pulitissime: in pratica dovrebbero essere verniciate di bianco, ma, con il passare del tempo, la pittura è diventata grigiastra; in più sono zeppe di scritte e graffiti: qualche bambino degli anni passati deve aver annotato degli appunti per un compito in classe, per giunta sbagliati. Ma l’aula non presenta solo difetti, è molto colorata e simpatica, davvero invidiabile: cartelloni realizzati da noi e da altri abbelliscono le pareti. È un’aula tecnologica, poiché è dotata di una lavagna multimediale. La LIM ha tanti vantaggi: le lezioni sono molto più divertenti del classico metodo di leggere i libri, a volte navighiamo su Internet per progetti scolastici, possiamo persino usare i libri virtuali e svolgere esercizi divertendoci al computer. Nella stanza, però, oltre alla lavagna multimediale ce ne sono altre due: la classica lavagna con il gesso - ogni volta che uno deve scrivere il gesso non si trova mai - e la lavagna con il cancellino a calamita, che spesso alla ricreazione alcuni maschi si divertono a lanciare come nel tiro al bersaglio. I banchi sono scheggiati e lasciano scorgere la segatura mescolata a una misteriosa sostanza molliccia. Come le sedie, sono intagliati, e “decorati” da scritte fatte con il bianchetto e con le penne. Ma la caratteristica che distingue i nostri banchi da quelli delle altre aule sono le collezioni di gomme masticate che vi sono state attaccate sotto; solo a guardarle viene il voltastomaco, quando si toccano si ha una sensazione viscida, disgustosa, come la pelle di una rana. Anche se i banchi sono già combinati in questo modo, devo ammettere che anche noi gli diamo una mano: i ripiani sono sempre carichi di libri, quaderni e astucci che sporgono all’infuori e spesso cadono. Li abbiamo disposti in lunghe file, in modo da facilitare le chiacchiere e la complicità. Ma, a causa di questa disposizione, è molto difficile passare, tanto ché ogni volta bisogna fare “sposta di qua, sposta di là”. Proprio vicino al mio banco c’è un piccolo armadietto dove trovano continuamente posto cose differenti: blocchi da disegno già usati pieni zeppi di scarabocchi e disegni, cartelloni con personaggi dei fumetti e altri non ancora usati, matite, penne, temperini e gomme che uno pensava di aver perso, e invece lì ritrovi lì con grande stupore pensando: “Ma come sarà finito qui ?”.

 Dolci e aspri ricordi legati a questa stanza mi fanno scrivere di non volermi trasferire in un’altra aula.


Vendesi casa

Buongiorno Signorina Martini ! Ha telefonato l’altro giorno all’agenzia “Realizza i sogni, svuota i portafogli”. Avremmo una casa a disposizione. Ma che dico una casa, è una supermega villa, lei è la cliente più fortunata, è la casa che tutti vorrebbero!
Bene, ma vorrei saperne qualcosa di più ! Dove si trova ?
Si trova in via “Qui è certo che compri”. Sebbene non sia situata molto lontano dalla città, è immersa nel verde, tra i soavi colori dei fiori e i dolci profumi della natura. Nel periodo primaverile la villa è scaldata e illuminata dai raggi del Sole, in Estate, grazie alla vicinanza al mare, la casa è rinfrescata dalla leggera brezza marina. Durante l’Autunno c’è   uno spettacolo mozzafiato: calde sfumature del verde, del giallo e del rosso circondano la villa. Con l’arrivo dell’ Inverno l’erba si ricopre di un morbido manto candido.
Bè, sembra davvero splendida, ma mi parli dei profumi !
All’interno della villa si può sentire l’aroma del legno massello, poiché è già arredata, ma, con un’annustina più attenta si può percepire il profumo di ogni stanza della villa: il salone è pervaso dalla fragranza della cannella, in ogni camera da letto (ce ne sono 18) si può sentire il profumo di ogni fiore, lo studio ha un odore di nuovo e di cuoio, mentre il resto delle stanze è dotato di un sistema extra tecnologico, grazie al quale potrà scegliere personalmente il profumo per ogni camera.
Sa che le dico, ha proprio ragione, è la casa che tutti vorrebbero, ma vede il mio è un caso molto particolare: io ho bisogno di tranquillità e confort, poiché ogni giorno devo pensarne una nuova per i miei alunni!
Questo non è affatto un problema. In ogni camera c’è un letto che la dondolerà per una notte di sereno riposo, dotato di una macchina con oltre 1000 canzone già inseriti che la accompagneranno prima di dormire e che si spengono automaticamente quando lei sarà già appisolata. In ogni camera, anche in bagno, c’è inoltre un televisore al Plasma da 150 pollici in 3D, anche senza occhialetti, con il quale potrà scegliere tutti i suoi film preferiti. In ogni bagno una vasca idromassaggio la attende dopo una lunga giornata di lavoro. Se è stanca ma c’è ancora tutta la casa da pulire e il pranzo da preparare ? Bè, d’ora in poi niente più problemi: con la villa riceverà in dotazione due cameriere-robot che cuciono, lavorano a uncinetto, stirano, lavano, spazzano, spolverano, cucinano, 24 ore su 24, senza farsi nemmeno sentire, tutto questo senza che lei debba muovere un solo dito; grazie a loro non dovrà nemmeno più preoccuparsi di uscire a fare la spesa. Nel salotto un comodo divano in pelle la massaggerà. Nella villa ci sono anche altre migliaia di confort: c’è la piscina, la sala giochi, la sala massaggi con incluse maschere di bellezza e creme, la sala di bellezza con inclusi cosmetici. Nei tanti guardaroba sparsi per la villa sono già appesi vestiti e borse firmate e persino le scarpe. Potrà inoltre riposare nel cortile e nel bellissimo giardino che circonda la villa. Compreso laghetto artificiale, dondolo, tavolinetto per il tè con posate, bicchieri e tazze in porcellana e cristallo. Inoltre, scegliendo l’agenzia “Realizza i sogni, svuota i portafogli” potrà dire addio alla sua Panda, poiché riceverà in omaggio una lussuosa limousine, autista completo, che la porterà dovunque voglia. 

La villa le verrà offerta ad un unico e insuperabile prezzo: a meno di un miliardo, ma a soli 999.999.999,99 euro.
Si affretti a contattarci sul nostro sito www.realizzaisognisvuotaiportafogli.com , dove potrà ricevere ulteriri informazioni.
    

Un allegro cimitero



Il volo per la Romania era andato piuttosto bene. Mi ero da poco sistemata nella mia camera d’albergo, quando mi venne l’idea di cominciare a conoscere il paese, di farmi una bella passeggiata tra le viuzze e gli antichi casolari. Tutto era uguale, non c’era nessun punto di riferimento per orientarsi, per questo vagai a vuoto per qualche ora. Ad un tratto mi ritrovai davanti a due sentieri: intrapresi quello di sinistra. In principio attraversai un lungo viale contornato da file di cipressi; aria fresca e rivitalizzante portava con sé il sottile profumo dei crisantemi, dei fiori di campo, della felicità, di festa. Mi ritrovai in un largo spiazzo con al centro un alto cancello aperto. Entrai. Capii subito che si trattasse di un cimitero, ma un cimitero molto particolare. Ora proverò a descrivervelo. Era tutta un’esplosione di colori, gioia e armonia, benché si trattasse di un cimitero, che è un luogo triste e spento. Quello invece era tutto il contrario e esprimeva una sensazione di festa, di luce e solidarietà. Infatti ogni lapide, che era alta più o meno come me, era dipinta con colori brillanti e vivaci, decorata tutt’intorno da motivi geometrici. Al centro, invece c’era l’immagine della persona che vi era sepolta in stile cartone animato, che assomigliava alle vetrate delle Chiese; a volte la persona era in primo piano, altre mentre svolgeva il suo mestiere, mi bastava solo guardarle per sapere quale lavoro avesse fatto ogni singola persona. C’erano cuochi intenti a preparare torte, calzolai che aggiustavano scarpe, donne che filavano e ricamavano con la spola, contadini che zappavano la terra, pastori e pastorelle che accudivano il gregge, preti che celebravano la Messa, uomini che giocavano a carte, e, aimè bambine dietro i banchi di scuola, che, forse, erano morte in infanzia. In alcune era persino raffigurato il modo in cui era morto quella persona: ad esempio in una lapide era rappresentata una donna mentre veniva investita da un’automobile rossa. Mi colpì una particolare lapide in cui il genero, con una barzelletta, pregava la sua suocera di non tornare a casa. Ogni lapide era inoltre coronata da un piccolo tetto spiovente, anch’esso decorato e colorato, sorretto da una croce abbellita da fiori e stelle. Ogni tomba era circondata da un cancelletto in ferro battuto color azzurro cielo. I viali erano molto stretti, poiché erano attorniati da cespugli fioriti: rose gerani e ortensie davano il loro contributo a rendere quel posto grazioso e simpatico. Alla destra del cimitero si ergevano alberi maestosi che sembravano far da barriera tra le tombe e le case che vi erano costruite; invece a sinistra una cosa mi sorprese molto: non vi era alcun cancello ne boschetto o praticello che lo separasse dal resto del paese, non vi era nemmeno un piccolo muretto o ringhiera: la gente passava vicino alle tombe come se niente fosse. Riconobbi allora la strada per tornare all’albergo. Ma, anche ritornata in Italia, mi rimase impresso quel simpatico luogo e pensai: “Quando morirò, vorrò anche io essere seppellita lì!”.


Descrizione del compagno sconosciuto

Il suo soprannome è “topo”. Infatti, un particolare che lo contraddistingue è il volto, che assomiglia vagamente a quello di un sorcetto; contribuiscono a farlo sembrare un topo le orecchie a sventola, che fanno pensare a due grandi eliche poste ai lati del volto con le quali potersi librare nell’aria, e il naso all’insù, piazzato perfettamente al centro della faccia. Color terra d’ombra bruciato, quasi nero, gli occhi tendono a trarre in inganno sulla sua personalità. Difatti, a volte, sono vaghi e persi e possono dare l’impressione di un animo timido e riservato, nascondendo così il vero carattere aperto, estroverso e, alle volte, eccessivo. La forma richiama la foglia di susino e, se devo dire la verità, talvolta mi irritano, mi fanno perdere la pazienza solo a guardarli. I capelli neri rasi lo fanno sembrare un militare; sono talmente corti da far notare la forma del capo, che assomiglia a un casco. Al suo interno giace abbandonato un informe ammasso grigio che, nelle faccende scolastiche, è uguale a un soprammobile su cui si accumulano mucchi di polvere. Indossa sempre scarpe da ginnastica portate con i lacci sciolti, i pantaloni sembrano calarsi mano a mano che cammina, veste magliette a manica corta anche d’Inverno, il tutto mescolato, e, come tocco finale, l’aggiunta di una camminata goffa e pesante, come un persona sfinita che non si regge in piedi e si trascina a fatica. In quanto al carattere, bé: se gli sei simpatico può essere gentile, leale, davvero un buon amico, anche se la tirchieria lo caratterizza, se invece gli sei antipatico cerca ogni pretesto per irritarti, basta che tu dica qualcosa, lui ne dice una delle sue. Durante le lezioni ha la testa tra le nuvole, sembra che viva in un mondo tutto suo, tanto che le professoresse preferiscono mandarlo al bagno o a chiacchierare con Domenico invece di vederlo annoiato sul banco. Però appena restiamo soli in classe improvvisamente prende vita e ne approfitta per scatenarsi  fino a quando l’insegnante non ritorna in classe e, allora, lui ritorna in letargo., Per quanto riguarda i gusti la sua unica vera passione è il calcio, anche se non si è ancora capito per quale squadra tifa, ne cambia una ogni mese.


Il Duca Federico di Montefeltro

Poteva sembrare un uomo forte e deciso, ma dietro quel suo aspetto severo si nascondeva un uomo fragile e malinconico, avrebbe voluto piangere in ogni momento, ma si tratteneva. Era rimasto solo, non aveva nessuno: il figlio minore era morto a quattro anni perché colpito dalla malaria, mentre il maggiore era stato condannato all’impiccagione per aver ucciso la madre. Il duca aveva vissuto un’infanzia amara; benché fosse un nobile, da ragazzino aveva lavorato al servizio di un conte e, quando una volta non aveva rispettato con precisione un suo ordine, era stato punito severamente: l’occhio gli era stato cavato, l’orecchio tagliato  e il volto sfregiato con della brace ancora ardente. Questo era il motivo per il quale si faceva ritrarre sempre di profilo. Ciò che più gli attribuiva un aspetto maestoso era il naso, con quella gobba tipica dei nobili. Il mento sporgente gli conferiva un’aria solenne, al contrario il grande cappello rosso era  piuttosto buffo e molte servette gli ridevano alle spalle a causa del suo abbigliamento eccentrico. Al duca, infatti, mancava la moglie e quindi aveva deciso di farsi cucire i vestiti con le stoffe degli abiti della moglie, che avevano ricami floreali e molto variopinti.  Era un uomo di una certa età: ciò si poteva notare dagli occhi stanchi e arresi contornati da profonde occhiaie scavate che si fumavano in lunghe rughe. Un altro simbolo di anzianità era la pelle rugosa e screpolata che raccontava di una vita aspra e difficile.


mercoledì 29 giugno 2011

La Cosa

“Nonno, nonno, ci racconti una favola per farci addormentare ?” chiesero i nipotini.
“Certamente bambini, però questa sera voglio raccontarvi una storia vera che non conoscete e che si tramanda da diverse generazioni, forse un giorno anche voi la racconterete ai vostri figli”.

Il nonno iniziò il suo racconto.
Tutto ebbe inizio a Whitehaven, un piccolo villaggio che si affacciava sul mare d’Irlanda, il 30 Aprile 2319; era una giornata primaverile, ma fredda e nebbiosa. Sembrava un giorno come tutti gli altri. Gli adulti erano andati al lavoro, i ragazzini erano a scuola, e, malgrado non fosse bel tempo, i bimbi allegri giocavano nel parco accompagnati dalle loro tate e dai nonni; alcune massaie erano indaffarate nello loro faccende domestiche, altre erano andate al mercato, mentre i vecchietti giocavano a bingo al centro anziani. Nell’aria si poteva sentire il profumo dei dolci e del pane appena sfornati; nella piazza principale, tra le bancarelle, si udiva la pescivendola che urlava per attirare le persone e i pettegolezzi delle vecchiette; al contrario sulla spiaggia si sentiva solo il rumore delle onde che si frantumavano  sugli scogli. Nessuno avrebbe potuto immaginare ciò che stava per succedere …
Nel parco una bambinaia cominciò ad accorgersi che stava accadendo qualcosa di terribile alle piante: una sostanza viscida, nera, melmosa, stava risalendo dal terreno, si infiltrava nelle radici, risaliva lungo il fusto e, passando attraverso i rami, arrivava fino alle foglie. Dopo un po’ tutti gli alberi del parco erano diventati neri e, più tardi, iniziarono a liquefarsi dentro quella “Cosa”. La stessa sorte toccò ai fiori e all’erba. I bambini urlarono e tutti si rifugiarono nelle loro case.
Nel frattempo la “Cosa” stava emergendo anche dal fondale marino soffocando tutti i pesci che, trascinati dalle onde, venivano sbattuti sulla spiaggia: in pochi minuti la riva divenne un cimitero di creature informi.
Gli abitanti di Whitehaven accesero radio e televisioni: tutti i canali annunciavano che eventi catastrofici simili stavano avvenendo sull’intero pianeta.
La “Cosa” si stava espandendo sulla Terra; in un solo giorno aveva sterminato la fauna e la flora marina, e soltanto le piante nelle zone collinari e montuose erano ancora in vita. Ben presto l’ossigeno iniziò a diminuire, invece la temperatura del pianeta prese a salire perché la “Cosa”, essendo nera, assorbiva i raggi del Sole e l’anidride carbonica intrappolava il calore.
Nel giro di poche settimane la temperatura era salita di oltre 10 gradi; per questa ragione anche i ghiacciai cominciarono a sciogliersi  provocando l’innalzamento del livello degli oceani.
La spiaggia di Whitehaven, come tutte le altre, si ristringeva ogni giorno di più, fino a quando non scomparve del tutto; ma l’oceano continuava ad innalzarsi e in pochi mesi anche il villaggio e tutte le città costiere del pianeta furono sommerse. La Terra era sconvolta da continue tempeste e i fulmini, sempre più violenti e numerosi, provocavano incendi spaventosi che devastavano gli edifici: crebbe a dismisura il numero delle vittime animali e umane folgorate o intrappolate tra le fiamme.
Solo in cielo gli uccelli continuavano a volare, o almeno così credevano le persone, ma quando quelle macchie scure cominciarono a discendere sulla Terra gli umani si resero conto, terrorizzati, che non erano uccelli, si trattava invece di mostri volanti fatti di gas letali che, penetrando attraverso le narici, soffocavano gli esseri viventi strappandogli l’anima.
La “Cosa” aveva preso coscienza di sé e ora dominava sull’intero pianeta. Alcuni scienziati riuscirono a prelevarne un campione e scoprirono con orrore che era composta da tutte le sostanze chimiche e radioattive con le quali gli uomini avevano inquinato il pianeta per secoli.

“Nonno, nonno, ma nessuno provò a fermarla ?” chiesero i bimbi spaventati.
“Si, ma fallì” e il nonno proseguì il suo racconto.

Il gruppo di scienziati che aveva analizzato il frammento della “Cosa” cercò un mezzo per neutralizzarla, ma morirono quasi tutti vittime dei gas viventi che infestavano l’atmosfera. Il solo rimasto, il più giovane, continuò le ricerche e casualmente scoprì che a contatto con la Xaanite la “Cosa” si trasformava in una polvere inerme.

“Che cos’è la Xaanite ?” domandarono i bambini.
“é una roccia radioattiva che si trova solo sul pianeta Mercurio” rispose il nonno, e continuò.

Il giovane scienziato si mise in contatto con le autorità militari per informarle della sua scoperta. Quest’ultime decisero immediatamente di organizzare il viaggio verso il Pianeta. Ma ogni tentativo di abbandonare la Terra con un’astronave fallì: quando cercavano di partire la “Cosa” lì afferrava con centinaia di tentacoli e li trascinava nelle profondità del pianeta. Quando fu chiaro che non c’era più nessuna speranza, il chimico si mise in contatto con la stazione lunare e, disperato, li mise al corrente dei fallimento. Spinto da un’improvvisa follia afferrò la Xaanite e si gettò contro la “Cosa”; per qualche istante sembrò avere la meglio: la “Cosa”, dopo aver capito che quella roccia era per lei fatale, indietreggiò, ma poi un tentacolo afferrò il giovane alla gola e lo trascinò dentro la melma. Fu a quel punto che le stazioni spaziali che orbitavano intorno alla Terra registrarono un boato agghiacciante: gli abitanti sopravvissuti stavano urlando mentre la “Cosa” li inghiottiva e li digeriva come una Nepenthes sanguinea.

“Nonno, allora come mai noi siamo qui ?”
“Perché, bambini, la stazione che i nostri antenati costruirono sulla Luna era anche una città-astronave e noi ci troviamo su di essa, in viaggio ormai da 213 anni, alla ricerca di un nuovo mondo!”.



Il Pinguino freddoloso

Al Polo Nord, insieme alla sua famiglia, viveva un pinguino tenero e ingenuo, di nome Pingu. Era un pinguino speciale, infatti, a differenza della sua famiglia e di tutti i pinguini che abitavano i Poli, aveva una caratteristica: era freddoloso. Un giorno, debole e infreddolito, si mise seduto su uno scoglio a parlare con Tricky, un saggio tricheco, di tutti i tentativi che aveva fatto per sconfiggere il freddo nella speranza che l’amico potesse dargli qualche suggerimento. “Ho tentato in tutti i modi” disse, “ho provato ad accendere un falò, ma il primo soffio di vento ha spento le poche fiamme che si erano accese; ho contattato una negozio di termosifoni, ma i dipendenti che dovevano consegnarmeli si sono persi; la nonna mi ha addirittura sferruzzato un cappello, una sciarpa, dei guanti e un maglione, ma non sono bastati a proteggermi dalle gelide correnti!”. Il tricheco allora gli consigliò ironicamente: “Perché non accendi una stufa?”. Il pinguino, però, prese il suggerimento sul serio ed esclamò: “Lo sai, hai proprio ragione, una stufa non si spegnerebbe mai, mi scalderebbe a sufficienza e, ora che ci penso bene, ho un cugino che lavora in una fabbrica di stufe, i suoi operai sono gente seria e affidabile, non si perderanno di certo!”. Il tricheco provò a replicare: “Ma io stavo scherzando: se accenderai una stufa al Polo Nord, potranno esserci gravi conseguenze!”. Il pinguino, però, lo stava a malapena ad ascoltare e aveva già il cellulare in mano. Il giorno dopo gli operai arrivarono e montarono una bella stufetta alogena nell’igloo di Pingu, che, felice e soddisfatto, esclamò: “Così starò al calduccio e poi, cosa potrà succedere di tanto grave come dice Tricky?”. I giorni passavano, il pinguino trascorreva 24 ore su 24 davanti alla stufa, non accorgendosi che il suo igloo cominciava a sciogliersi, e ogni volta il tricheco lo avvisava: “Se continui in questo modo accadrà una catastrofe universale!”, ma la risposta di Pingu era sempre la stessa: “Non ti devi assolutamente preoccupare, non potrà succedere nulla!” Erano passate solo poche settimane: i ghiacci del Polo Nord cominciarono a sciogliersi, ed il calore era così forte che arrivò fino al Polo Sud, dove accadde la stessa cosa. Il pinguino, irremovibile, non cambiava opinione. La neve continuava a sciogliersi e l’acqua cominciò a sommergere i continenti, fino a che sulla Terra rimase solo un’immensa distesa d’acqua e gli unici esseri viventi che la popolavano erano i pesci e gli altri animali acquatici. Il pinguino se ne stava lì, sull’unico frammento di ghiaccio rimasto, a riscaldarsi davanti alla sua adorata stufa alogena, e continuava a ripetersi: “Che sarà mai successo di tanto grave, l’importante è che io sono al caldo!”

Non riscaldare il mondo che si scioglie !


Maxi ago per cucire il buco dell'ozono


Signori e signore, aprite bene le orecchie. Oggi e ripeto, solo oggi, avrete la possibilità di acquistare “il Maxi Ago per Cucire il Buco dell’Ozono”. L’ago è costruito in un resistentissimo materiale ecologico: il ferro riciclato. 
Gli oggetti in  metallo sono stati artigianalmente fusi al Sole e sono stati fatti raffreddare in un freezer. E pensate, quando alcuni pezzi che non si erano sciolti molto bene si erano staccati, sono stati manualmente e, ripeto, “manualmente” riattaccati con l’attack. Nonostante il ferro sia super resistente è leggerissimo, in modo che possiate usarlo senza troppi sforzi: pesa soltanto una tonnellata. Inoltre non c’è da preoccuparsi: se vi cadrà addosso il super ago non si spezzerà. Ma ora passiamo ad esaminare la punta. Anch’essa in ferro è pensata in modo che anche i bambini sotto i 50 anni non si facciano del male, infatti, appena vi pungerete, e questo vi causerà un buco di soli 150 punti, dall’estremità uscirà un infermiera robot che vi curerà in un battibaleno senza ulteriori spese. Insieme al maxi ago riceverete persino una lunghissima scala per poter salire fino all’atmosfera: pensate, c’è soltanto il 99,9% delle probabilità che possiate cadere, basteranno solo circa un centinaio di persone a reggere la scala. È in legno tarlato con tarli compresi e, sottolineo, i tarli sono inclusi nel prezzo. Insomma affrettatevi a chiamare, grazie ad una semplice telefonata potrete ricevere il maxi ago a soli 10.000 €, veramente un piccolo prezzo per aiutare il pianeta danneggiando solo una persona: voi stessi.

Metamorfosi

Erano passati già dieci giorni dall’inizio della mia spedizione in Madagascar per osservare il Sifaka Diadema, una specie animale in via di estinzione, eppure ancora non era successo niente: sembrava che quelle creature, essendosi indispettite del mio arrivo, non volessero collaborare per nulla e se ne stavano nascoste nel cuore della foresta, dove io avevo paura di inoltrarmi a causa dei predatori famelici. Al crepuscolo cominciai a sentirmi strana. Non so spiegare con precisione cosa mi stesse succedendo, ma ebbi la sensazione che il mio corpo volesse abbandonarmi, che non ce la facesse più a sopportarmi e che anche la mia coscienza volesse liberarsi di lui per poi entrare in un altro corpo. Ebbi poco tempo per pensare, mi stavo trasformando ed era questa l’unica preoccupazione. Dai pori della pelle vidi spuntare peli rossicci che in breve si tramutarono in una pelliccia folta e setosa; era così colorata e variegata che quasi provai un briciolo di piacere. Intorno al volto, che ormai si era trasformato in un simpatico musetto, era spuntata una corona di pelo bianco, che aveva ricoperto anche le guance e la fronte. Il resto del musetto, invece, era nero: trovai di buongusto il contrasto di colori. Anche sulla parte superiore della schiena era spuntata una soffice pelliccia color grigio ardesia, che sfumava in un argento opaco nella parte inferiore. Mi era cresciuta anche una lunga e morbida coda che assomigliava, ad eccezione dei  colori, a un piumino per spolverare; come i fianchi e il ventre, era di color grigio pallido con insolite sfumature di bianco, mentre l’estremità superiore era di un color giallo dorato, veramente splendida. Le mani e i piedi erano rivestiti di una peluria nera, che si differenziava dal color nocciola degli arti inferiori e superiori. Anche gli occhi erano cambiati: erano diventati di color bruno-rossastro, piccoli e lucidi, tanto da assomigliare a due bottoncini. Mi ero trasformata in un mammifero alto circa un metro, di certo non pesavo più di sette chili ed ero dotata di un’agilità fenomenale: a terra mi muovevo spiccando lunghi salti, come se stessi saltando di ramo in ramo; risi di me stessa  a causa di questa buffa andatura. Ero diventata un Sifaka Diadema. Accolsi la trasformazione con razionalità e tranquillità: in fondo avrei potuto approfittarne per studiare da vicino quegli animali, e comunque prima o poi sarei tornata un essere umano. Mi era venuta fame, allora mi lasciai guidare dall’istinto e mi diressi verso un angolo della foresta dove crescevano piante cariche di giovani germogli di bambù; conclusi il pasto con una bella scorpacciata di frutti, foglie e fiori. Il mio nuovo habitat era meraviglioso: alberi esotici offrivano frutti tropicali succosi e ovunque c’erano fiori ed erbe dai colori stupendi e dai mille profumi. Per un attimo mi fermai a riflettere, ripensai ai miei studi sulla specie e provai una profonda tristezza: benché il mio habitat fosse così bello si estendeva solo per 25-50 ettari: fino al fiume Mangoro a sud e fino a Maroantsetra a nord. Facevo parte di una specie ad altissimo rischio di estinzione.
Perché l'uomo ci aveva fatto questo? 


martedì 28 giugno 2011

I Pensieri del Sabato

Una partita di calcio coi bimbi sudati che urlano goal
Quattro amiche pettegole che bevono il cappuccino al bar
La mamma e la figlia che comprano a tutto spiano
Il papà tirchio che spende rattristato
I bambini entusiasti dell’ultimo giorno di scuola
Il bambino sull’erba che osserva la coccinella sulla mano
Il cagnolino arrabbiato che rincorre la propria coda
Il micio ordinato che si lecca la zampina
L’uccellino sfiatato che canticchia sul ramo
La margheritina che bella si fa al Sole
La rosa invidiosa che punge maldestra
Il saggio pino che scuote le fronde
Il cavallo imbizzarrito che corre nel maneggio
La bambola paziente che aspetta in vetrina
Son tante le meraviglie
Del Sabato son lievi i pensieri.



L’Autunno

L’Autunno è …
Il venditore di caldarroste all’angolo della strada,
la fornaia che prepara crostate all’albicocche,
il respiro di un soldato che ha perso la guerra,
lo zio coi baffi che fuma il sigaro,
il cigolio della sedia a dondolo che si culla a fatica,
il pennello lasciato nella scodella di terracotta,
la pentola di rame con salciccia e fagioli,
la fisarmonica arrugginita del musicista sfrattato,
la zucca che giace nell’orto con le sue sorelle,
il sentiero nel bosco che si veste di colori caldi,
il fiume saggio che dorme sereno,
le fatine vestite con petali secchi di girasoli,
la noce moscata sparsa sul tappeto,
le toppe della parnanza,
la lingua ruvida della mucca che lecca il volto al contadino.


Un'Iliade in rima


La nostra storia iniziò
Quando Peleo di invitar Eris si scordò
Per assister al suo banchetto nuziale,
Sapeva infatti che era la dea  del male.
Era famosa per metter discordia
E di nessuno aveva misericordia.
Eris offesa al pranzo si presentò
E la sua ira lei  scatenò.
Sul tavolo una mela d’oro lanciò
“Alla più bella” proclamò.
Per questo subito scoppiò una lite
Tra le ospiti più gradite:
Afrodite, dea della bellezza,
Atena, dea della saggezza
Ed Era sposa ingannata
Che voleva essere amata.
L’ infedele Zeus allora decretò:
La parola al più affascinante andò.
Era Paride, il bel principe troiano
Figlio di Priamo, che di Ilio era il sovrano.
Le tre dee di corromperlo cercarono,
Con una proposta lo allettarono:
Era gli offrì la potenza e la ricchezza,
Atena l’eterna sapienza e saggezza,
Afrodite una sposa dall’immensa bellezza.
Paride il terzo dono accettò
E alla dea il pomo donò.
Era Elena, del greco re Menelao, la sposa
Ed era splendida come una rosa.
Paride ed Elena si innamorarono
Ed insieme di nascosto scapparono.
Il re Menelao era infuriato
E tutti i re della Grecia aveva radunato.
Iniziò così la sanguinosa guerra,
Che per dieci anni devastò di Troia la terra.


Dopo nove anni di aspri combattimenti
I due popoli erano agli sfinimenti.
I Greci sulla spiaggia vicino alle navi si erano accampati,
Mentre i Troiani nelle mura della città si erano ritirati.
Crise, sacerdote troiano,
Che di Criseide era il padre anziano,
Ad Agamennone si prostrò
E la libertà per la figlia schiava implorò:
Oro e argento per il riscatto gli offrì
Ma Agamennone infuriato si inasprì.
Gli altri re greci non ascoltò,
Ma al contrario il sacerdote cacciò
E Crise insultato si allontanò.
Addolorato, il sacerdote ad Apollo si rivolse
E il dio le sue preghiere accolse.
Con le sue frecce una pestilenza scatenò
E il popolo greco assai si disperò:
Per nove giorni uomini e animali morirono
E gli Achei davanti alla collera divina si intimorirono.
Il decimo giorno con a capo Achille si radunarono
E da un indovino si presentarono
Per conoscere la verità
Su tutte quelle avversità.
Calcante rivelò: “Agamennone è  il colpevole,
ha trattato Crise in modo spregevole:
Il dio Apollo si è infuriato
E la sua ira ha  scatenato.
Criseide al padre va restituita
E la collera divina sarà finita!”.
Agamennone a casa rimandò Criseide
Ma in cambio pretese Briseide,
Che era di Achille la schiava adorata
E non l’avrebbe mai abbandonata.
Tra Achille e Agamennone scoppiò una lite
A causa delle schiave più gradite.
“Avido ed egoista” Achille lo accusò,
Ma Agamennone non si ritirò:
Riuscì ad ottenere ciò che chiedeva,
Ed Achille ucciderlo voleva.
La dea Atena lo trattenne
E Achille fece un giuramento solenne:
Non sarebbe andato in combattimento
E sulla spiaggia portò il suo tormento.
La madre Teti aveva invocato
E con lei si era sfogato.
Una breve ma eroica vita lo aspettava
Ma il giuramento la gloria gli negava
Alla guerra non avrebbe partecipato
E nessuno lo avrebbe ricordato.
Teti nell’Olimpo andò
E il dio Zeus scongiurò:
“Che la battaglia vincano i Troiani
Affinché i Greci col cuore tra le mani
Supplichino  Achille, il più valoroso,
Perché senza di lui lo scontro è doloroso”.
Le battaglie furono tante,
Ma nessuna determinante.
Si fronteggiarono i più valenti,
Ma i Troiani erano sempre i vincenti:
Alle navi greche arrivarono
E, guidati da Ettore, il fuoco vi appiccarono.
A Troia Ettore era l’eroe più amato,
E di Priamo il figlio adorato
Non amava la guerra, ma per salvare la città
Per lui era una necessità.
Non cercava la gloria,
Ma combatteva per la vittoria,
Per la difesa della sua gente
Che amava come ogni  parente.
Il fuoco le navi aveva incendiato
E Patroclo dall’amico Achille si era recato
Delle sue armi lo spogliò
E lui stesso le indossò:
I Troiani voleva affrontare
Per poterli terrorizzare.
Rivestito da un’armatura splendente
Terrorizzò di Troia la gente
Che, credendo fosse Achille,
Corse verso le mura a mille.
Ettore però paura non dimostrò
E con coraggio in un duello lo affrontò.
Patroclo fu ucciso da  Ettore, il vincente,
Che lo privò della sua armatura lucente.
Alla morte dell’amico Achille si disperò
E di tornare a combattere egli giurò.
La madre Teti chiese al dio Efesto
Tutto ciò che il figlio aveva richiesto:
Nuove armi voleva indossare
Per poter di nuovo guerreggiare.
Nella mura cittadine i Troiani si riparavano
Mentre Ettore e Achille all’esterno si sfidavano:
Una spada Achille nel petto di Ettore infilzò
E dopo il suo corpo con un carro trascinò.
Di Priamo Achille ebbe molta pietà
Quando egli gli si presentò con dignità
La salma del figlio chiese di riavere
E per Achille fu un vero dovere:
All’anziano padre Peleo pensò
E la salma intenerito gli consegnò.
La nostra storia si concluse tragicamente
Con un funerale assai commovente.