sabato 30 luglio 2011

Il bambino che mentiva sempre

C’era una volta, nel Paese-Che-Dir-Si-Voglia, una povera famigliola, che viveva in una misera stanzina. Il padre era morto da poco, e la madre era rimasta sola con il figlioletto di sette anni. Nonostante la loro povertà, i genitori non avevano mai fatto mancare niente al figlio, e, grazie alla vendita di un piccolo orto coltivato che possedevano, erano riusciti a mandarlo persino a scuola, anche se poi aveva dovuto smettere non avendo più soldi. Il bambino s’era però mantenuto scaltro e intelligente, e aveva una così fervida immaginazione che ogni giorno ne inventava una nuova: “Sapete mio nonno era il re di un regno molto, molto lontano, possedeva 100 castelli e 1000 scrigni colmi di monete d’oro, e poi mio nonno era un amico del papà del re: anzi, che dico amico, erano come due fratelli inseparabili, prendevano ogni decisione insieme e ognuno non muoveva un dito senza aver prima consultato l’altro”, questa era ultima fandonia che aveva raccontato. Anche se a quel tempo la gente credeva a qualunque cosa, in verità tutti gli davano retta perché lui era veramente bravo a raccontare storielle, e nessuno avrebbe mai creduto che fossero invenzioni. Si sa, in un paesello le voci si diffondono velocemente, e quando il re venne a sapere di questo giovincello, lo fece venire al suo cospetto. Il bambino per niente intimorito indossò gli abiti della Domenica e si presentò a palazzo. Il re Arturo non credette a nessuna storia, anche perché il ragazzo era un poverello, ma gli piacquero così tanto i suoi racconti, che decise di tenerlo un po’ con sé a corte per divertirsi. Le giornate passavano e il re era molto contento del suo nuovo ‘cantastorie’. Un giorno però il bimbo non seppe trattenersi, pensando che  il re, come al solito, non gli avrebbe creduto ma sarebbe solo scoppiato in una grande risata, ne raccontò una grossa: “Sapete vostra altezza, ieri stavo pescando per il pranzo in onore dei vostri cugini, quand’ecco ho sentito due soldati di re Leopoldo, vostro fratello, che stavano parlando, hanno detto che sta per cogliervi di sorpresa con una guerra per impossessarsi di tutto il paese”. Re Arturo, allora, credendogli, chiamò le guardie e ordinò: “Strigliate e date cibo ai cavalli, lucidate le armature e preparatevi: domani mattina faremo un assalto nel regno vicino”. Il bambino, con una risatina, se ne restò zitto e guardò soddisfatto la scena. Si fece mattina, tutto era pronto: le guardie armate erano già in sella ai cavalli e il re, maestoso sul suo destriero, fece un segno con la testa per dare inizio all’assalto. Arrivati nel paese di re Leopoldo, il Paese-Che-Dir-Si-Desideri, si accorsero che tutto era normale e che non sembrava affatto che il re suo fratello si stesse preparando per un assalto al Paese-Che-Dir-Si-Voglia: i bambini, all’alba, erano già svegli e giocavano a campana nella piazza principale; le donne prendevano l’acqua alla fonte, un uomo spegneva i lumini accesi durante la notte; il panettiere era lì, puntuale, nella sua cucina a impastare pane e dolci; il fabbro spezzava il silenzio con il rumore continuo del suo martello. Quando la gente si accorse dell’arrivo di re Arturo insieme ai suoi guerrieri a cavallo, si spaventò e corse a nascondersi. Al re parve molto strano ma, deciso, si diresse al castello del fratello. I cavalieri lasciarono i cavalli nel cortile del palazzo e si diressero da re Leopoldo. Quando il re del Paese-Che-Dir-Si-Desideri vide il fratello così armato, scortato da moltissime guardie, si spaventò e chiese: “Caro fratello, come mai mi hai onorato della tua visita?”. Il re del Paese-Che-Dir-Si-Voglia rimase sbalordito e raccontò tutto al fratello. Re Arturo capì allora che era stata solo una delle solite bugie del suo piccolo amico e ci passò sopra. I due re decisero di unire i due paesi facendo sposare i loro figli. Re Arturo tornò nel suo castello per i preparativi del fidanzamento dei giovani. Era il giorno della tanto attesa cerimonia di fidanzamento quando il bambino chiamò da parte il suo sovrano e gli confessò: “Sire, ho visto vostro nipote con un’altra donna, che per di più è soltanto una semplice contadina e poi …”; il re lo interruppe: “Carissimo, le tue storielle mi divertono molto, ma non raccontarne più di così pericolose, l’altra volta per poco non si è scatenata una guerra tra i due regni e ci sono passato sopra, ma se adesso ci riprovi giuro che ti faccio tagliare la testa!”. Ma il bambino, per niente intimorito, continuò a raccontare: “Stava anche con un bambino, sapete cosa vi dico, secondo me quel buono a nulla di vostro nipote si è fatto una famiglia di nascosto e pure con gente povera! Sire, vi giuro che è vero stavolta, non lo direi, altrimenti mi giocherei la testa; va bene, mi piace raccontare storielle, lo ammetto, ma non al punto di rischiare di morire ! E poi l’ho visto con i miei stessi occhi ieri mattina qui al villaggio, quando sono andato a far visita a mia madre!”. Il re, anche stavolta, si lasciò convincere e ordinò che suo nipote venisse arrestato e rinchiuso nelle carceri del palazzo. Il giovane cominciò a piangere e supplicò lo zio di liberarlo perché non aveva fatto nulla di male. Il padre, re Leopoldo, intervenne in sua difesa: “Caro fratello, vi giuro che mio figlio è innocente: non vi dico di fidarvi di vostro nipote, ma di me. L’ho tenuto segregato in camera sua per avermi disubbidito, fino a stamattina, e mi sono assicurato che le guardie vigilassero costantemente la sua porta in modo che non potesse uscire e che nessun suddito gli potesse aprire. Fidatevi !”. Re Arturo capì che per l’ennesima volta era stato beffato dal piccolo monello, anche questa volta non lo punì e gli ordinò di smetterla con le sue bugie. Venne il giorno del matrimonio. Il giovane aveva comprato alla sua sposa, come pegno d’amore, una collana di diamanti, e quando il bambino lo venne a sapere non poté fare a meno di entrare nella stanza della sposa per giocarci. La prese e uscì in cortile. Era veramente bellissima: le gemme risplendevano ai raggi del sole e la luce gli donava mille sfumature. Il bambino cominciò a farla volare in aria. Ma, quando si sentì chiamare dal re per l’inizio della cerimonia, si distrasse e la collana cadde in un tombino. Allora subito chiamò il re e piagnucolando raccontò: “Sire, vostra altezza, non potrete mai immaginare ciò che è successo: ero entrato nella stanza della futura regina per assicurarmi che fosse tutto a posto e che nulla potesse interrompere la cerimonia, quand’ecco ho visto arrivare, non so da dove, … è come apparsa dal nulla ed era così bella che avevo pensato fosse una fata, ma in verità era una strega. Sire non ho saputo reagire, me ne stavo lì, immobile, mentre guardavo la scena: ha rubato la collana e poi è scomparsa nel nulla. Lo so Sire è molto strano, nemmeno io ci credevo. Ma non roviniamo la festa ai due giovani in questo felice momento, quindi Sire andiamo ad assistere alla cerimonia …”. Il re però lo interruppe e gli disse: “E no caro mio, ne hai combinata un’altra delle tue, vero ? Hai perso la collana e hai mancato di rispetto a me. Stavolta ti verrà tagliata la testa!”. Il bambino scoppiò a piangere, ma il re non ebbe pietà, anzi, interruppe la cerimonia e tutti gli invitati si recarono al patibolo, dove il bambino sarebbe stato giustiziato. Anche la madre, piangendo, era tra il pubblico. La lama d’argento stava per scendere sulla testa del piccolo che frignava quando, all’improvviso, il re scoppiò in una grande risata e, rivolgendosi a tutto il popolo disse: “Cari sudditi, non penserete davvero che il vostro re faccia tagliare la testa a un bambino di soli otto anni! Non ti preoccupare piccolo, era solo una messa in scena per farti prendere un bello spavento, ma adesso mi prometti che non racconterai più bugie ?”. Il bambino non rispose nulla, ma fu veramente sollevato, aveva preso veramente un bello spavento, ma non gli era di certo passata la voglia di raccontare frottole: decise così di tornarsene a casa sua, dove avrebbe potuto raccontare le sue fandonie, anche pericolose, senza che nessuno gli dicesse niente. E così, tutti vissero per sempre felici e contenti!


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