mercoledì 13 luglio 2011

Un allegro cimitero



Il volo per la Romania era andato piuttosto bene. Mi ero da poco sistemata nella mia camera d’albergo, quando mi venne l’idea di cominciare a conoscere il paese, di farmi una bella passeggiata tra le viuzze e gli antichi casolari. Tutto era uguale, non c’era nessun punto di riferimento per orientarsi, per questo vagai a vuoto per qualche ora. Ad un tratto mi ritrovai davanti a due sentieri: intrapresi quello di sinistra. In principio attraversai un lungo viale contornato da file di cipressi; aria fresca e rivitalizzante portava con sé il sottile profumo dei crisantemi, dei fiori di campo, della felicità, di festa. Mi ritrovai in un largo spiazzo con al centro un alto cancello aperto. Entrai. Capii subito che si trattasse di un cimitero, ma un cimitero molto particolare. Ora proverò a descrivervelo. Era tutta un’esplosione di colori, gioia e armonia, benché si trattasse di un cimitero, che è un luogo triste e spento. Quello invece era tutto il contrario e esprimeva una sensazione di festa, di luce e solidarietà. Infatti ogni lapide, che era alta più o meno come me, era dipinta con colori brillanti e vivaci, decorata tutt’intorno da motivi geometrici. Al centro, invece c’era l’immagine della persona che vi era sepolta in stile cartone animato, che assomigliava alle vetrate delle Chiese; a volte la persona era in primo piano, altre mentre svolgeva il suo mestiere, mi bastava solo guardarle per sapere quale lavoro avesse fatto ogni singola persona. C’erano cuochi intenti a preparare torte, calzolai che aggiustavano scarpe, donne che filavano e ricamavano con la spola, contadini che zappavano la terra, pastori e pastorelle che accudivano il gregge, preti che celebravano la Messa, uomini che giocavano a carte, e, aimè bambine dietro i banchi di scuola, che, forse, erano morte in infanzia. In alcune era persino raffigurato il modo in cui era morto quella persona: ad esempio in una lapide era rappresentata una donna mentre veniva investita da un’automobile rossa. Mi colpì una particolare lapide in cui il genero, con una barzelletta, pregava la sua suocera di non tornare a casa. Ogni lapide era inoltre coronata da un piccolo tetto spiovente, anch’esso decorato e colorato, sorretto da una croce abbellita da fiori e stelle. Ogni tomba era circondata da un cancelletto in ferro battuto color azzurro cielo. I viali erano molto stretti, poiché erano attorniati da cespugli fioriti: rose gerani e ortensie davano il loro contributo a rendere quel posto grazioso e simpatico. Alla destra del cimitero si ergevano alberi maestosi che sembravano far da barriera tra le tombe e le case che vi erano costruite; invece a sinistra una cosa mi sorprese molto: non vi era alcun cancello ne boschetto o praticello che lo separasse dal resto del paese, non vi era nemmeno un piccolo muretto o ringhiera: la gente passava vicino alle tombe come se niente fosse. Riconobbi allora la strada per tornare all’albergo. Ma, anche ritornata in Italia, mi rimase impresso quel simpatico luogo e pensai: “Quando morirò, vorrò anche io essere seppellita lì!”.


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